Post in evidenza

Il caso dei fratelli Menendez.

Lyle ed Erik Menéndez, i figli del ricco dirigente dell'intrattenimento di Beverly Hills José Menéndez, scioccarono la nazione nel 1989 ...

10 agosto 2025

Il massacro della famiglia Lawson: il mistero e l'orrore di una vigilia di Natale insanguinata

 







Il freddo pungente del 25 dicembre 1929 avvolgeva le colline della Carolina del Nord, mentre le famiglie si stringevano accanto al camino per festeggiare il Natale. Per la comunità rurale di Germanton, però, quella giornata si sarebbe trasformata in un incubo destinato a essere ricordato per generazioni: il brutale massacro della famiglia Lawson.

Charles Lawson, contadino rispettato e padre di sette figli, sembrava incarnare l'immagine della famiglia americana laboriosa. Poche settimane prima di Natale, aveva portato la moglie e i bambini in città per acquistare nuovi vestiti e fare un insolito servizio fotografico, gesto anomalo per un uomo di modeste condizioni economiche.
Nessuno poteva sapere che quelle fotografie sarebbero diventate l'ultimo ritratto di un'intera famiglia.

La mattina di Natale, mentre i vicini preparavano il pranzo delle feste, Lawson uscì di casa armato di fucile. Prima si diresse verso il fienile, dove le figlie Carrie e Maybell, rispettivamente di 12 e 7 anni, stavano giocando. Con precisione glaciale, sparò a entrambe e ne occultò i corpi. Tornato in casa, uccise la moglie Fannie e poi i figli Marie, James e Raymond. Infine, la più piccola, Mary Lou, appena 4 mesi, trovò la morte tra le sue mani.

Il silenzio di quel giorno fu interrotto soltanto da un ultimo colpo di fucile: Charles si tolse la vita nei boschi vicini, lasciando accanto a sé lettere e appunti confusi, incapaci di dare una spiegazione chiara al suo terribile gesto.

Le motivazioni del massacro non furono mai chiarite del tutto. Alcuno parlarono di problemi mentali, altri di gravi difficoltà economiche. Nel tempo, voci più oscure emersero: si mormorava di un possibile abuso nei confronti della figlia Marie, che sarebbe rimasta incinta del padre.
Nessuna di queste teorie fu mai confermata, ma alimentarono un alone di mistero che rese il caso immortale nelle cronache del true crime americano.

La casa dei Lawson divenne meta di curiosi e cacciatori di fantasmi, convinti che gli spiriti della famiglia vagassero ancora tra quelle mura fredde e impregnate di sangue. Negli anni il massacro è stato raccontato in libri, ballate popolari e documentari, mantenendo viva la memoria di una tragedia che, a distanza di quasi un secolo, continua a gelare il sangue.

La storia è stata anche oggetto di un documentario/reality attualmente disponibile su Netflix, 28 giorni paranormali, in cui un gruppo di sensitivi si isola per ben 28 giorni in tre location diverse che furono teatro di efferati delitti e che parrebbero ancora essere infestate dalle anime di coloro che ne furono protagonisti e vittime. Una di queste location è appunto il luogo in cui fu uccisa la famiglia Lawson. 
Ciò che rende particolarmente interessante questo documentario/reality è che l'esperimento si basa su una teoria dei coniugi Warren, i famosi demonologi esperti di occulto, che prevede, al fine di svelare completamente i segreti di un luogo infestato e mettersi in contatto con le entità presenti, di isolarsi in quel luogo per ben 28 giorni senza nessun contatto con l'esterno.



06 agosto 2025

Bring Her Back: l'horror che trasforma il dolore in puro terrore psicologico




 


Nel vasto panorama del cinema horror contemporaneo, Bring Her Back emerge come un'opera intensa e disturbante, capace di trascinare lo spettatore in un vortice di angoscia e mistero. Diretto con mano ferma e visione lucida, il film si distingue non solo per la sua trama inquietante, ma soprattutto per l'atmosfera densa e opprimente che riesce a costruire fin dai primi minuti.

La storia ruota attorno a Ethan, un padre distrutto dalla morte improvvisa della figlia adolescente. Mentre il mondo attorno a lui sembra voler dimenticare, Ethan non riesce ad accettare l'assenza e si rifugia in rituali oscuri, guidato dalla promessa - o l'illusione - che un ritorno sia possibile.
Il desiderio di riabbracciare chi è perduto, però, si trasforma presto in un incubo, dove il confine tra amore e ossessione si fa sempre più labile.

La narrazione si sviluppa lentamente, con un ritmo studiato, quasi ipnotico, che riflette il tormento interiore del protagonista. Ogni scena è permeata da una tensione latente, che cresce fino a esplodere in momento di terrore puro ma mai gratuiti, sempre funzionali alla costruzione di un senso di inevitabilità e decadenza.

Ciò che rende Bring Her Back un horror memorabile è l'abilità con cui il regista - di cui si avverte l'influenza di autori come Ari Aster e Robert Eggers - orchestra suono, luce e composizione dell'immagine per creare un senso costante di disagio. I toni freddi della fotografia le ombre che sembrano vivere di vita propria e una colonna sonora minimalista ma disturbante, contribuiscono a imprimere ogni scena nella memoria dello spettatore.

Pur affondando le sue radici nei canoni del genere horror, Bring Her Back è anche un'opera profondamente umana. Il terrore non nasce solo dagli elementi soprannaturali, ma dall'incapacità di lasciare andare, dal bisogno disperato di riportare indietro ciò che  irrimediabilmente perduto. Il film si interroga con crudezza e delicatezza insieme, su quanto siamo disposti a sacrificare pur di non accettare la realtà.

Bring Her Back non è un horror per tutti. Non cerca scorciatoie, non punta agli spaventi facili, è un film che si insinua sotto la pelle, che lavora con la psicologia più che con il sangue, e che lascia lo spettatore con una domanda inquietante: e se chiami davvero qualcuno dall'aldilà, sei sicuro che sarà ancora la persona che ricordavi?

In un (fin troppo lungo) periodo in cui gli horror puntano tutto su dinamiche scontate e prevedibili, questo film rappresenta una piccola perla insieme a Talk to me - dello stesso regista - di cui Bring Her Back sembra esserne l'erede spirituale. Consigliato.


23 giugno 2025

Ted Bundy - Il killer delle studentesse

                                                             


                                                    



Il suo nome completo è Theodore Robert Cowell, è nato il 24 novembre nel 1946 a Burlington (Vermont) da Eleanor Louise Cowell in un istituto per madri non sposate, l'identità del padre è sempre rimasta sconosciuta, ma lui è famosissimo, noto con il soprannome: "il killer delle studentesse".  
Per la rubrica dei Serial Killer, oggi vi parlo di Ted Bundy.
Ted fu cresciuto dai nonni Samuel ed Eleonor Cowell a Philadelphia, che lo crebbero come figlio loro.
Alla famiglia, agli amici e al piccolo Ted fu detto che i nonni erano i suoi genitori biologi, mentre sua madre era la sorella maggiore.
Ted provava risentimento verso sua madre Eleanor per avergli sempre mentito e per avergli causato confusione sulla sua identità; scoprì la verità  nel 1969, sostenendo inizialmente che era stato il cugino a rivelargliela, ma alla scrittrice e biografa specializzata in crimini, nonché sua conoscente personale, Ann Rule, invece disse che aveva scoperto tutto da solo. In molti pensano che questa fu la causa scatenante della sua furia omicida.
Nel 1951  Eleanor e Ted andarono a Tacoma, nello stato di Washington, qui lei decise di cambiare nome in Louise, conobbe un cuoco di nome Johnny Culpepper Bundy, il quale lavorava presso l'ospedale locale e se ne innamorò perdutamente. Nello stesso anno si sposarono e Johnny adottò ufficialmente Ted, che ne prese il cognome e divenne Ted Bundy.
Anche se assunse il cognome del patrigno, Ted non mostrava nessun interesse o legame verso di esso. Successivamente Johnny e Louise ebbero altri quattro figli a cui Ted faceva spesso da babysitter. Johnny tentava sempre di farlo sentire come suo figlio, facendolo partecipare alle attività di famiglia o alle gite in campeggio, ma Ted rimaneva sempre distante da lui, continuando infatti a considerare il nonno come suo vero padre, un uomo che veniva descritto come violento, razzista antisemita e anticattolico e con un grande interesse verso la pornografia.
Soggetto a forti scatti d'ira, una volta scaraventò Julia, la sorella minore di Louise, giù dalle scale; inoltre spesso si rivolgeva ad alta voce a "presenze invisibili".
L'adolescenza di Ted lo cambiò tra la scuola e il suo impegno con i boy scout; divenne un bullo, prese parte a risse e furti vari, in alcuni episodi i professori lo descrivevano come una persona inquietante ed estremamente violenta, fu presto accusato di spiare donne dalle finestre.
Nel 1965 prese il diploma e ottenne una borsa di studio per l'università di Tacoma, luogo in cui si vocifera che abbia fatto la sua prima vittima e la seppellì nei pressi di una fontana.
Dopo un'anno a Tacoma, Ted si trasferì all'università di Washington, dove conobbe il suo primo amore, Stephanie Brooks, una ragazza che proveniva da una famiglia benestante e con cui provò a legarsi.
La ragazza, però, dopo essersi laureata, troncò ogni rapporto con lui, procurandogli una sorta di depressione che lo portò a lasciare l'università.
Nel 1969 decise di riprendere di nuovo gli studi presso l'università di Washington. Qui seguì i corsi di psicologia e legge e iniziò a essere coinvolto anche nella politica locale, lavorando alle campagne del repubblicano nero Art Fletcher ,candidato per la carica di vicegovernatore.
Nel tempo libero lavorava come volontario come operatore telefonico presso un'organizzazione no-profit della Seattle Crisis Clinic; il suo lavoro era di dare assistenza ai bisognosi e alle vittime di stupro, e fu qui che conobbe Ann Rule. Questa donna, del tutto estranea alla doppia vita dell'uomo, raccontò la sua esperienza nel libro: "Un estraneo al mio fianco".
Successivamente Ted incontrò una donna divorziata di nome Meg Anders con la quale iniziò una relazione. Lei si innamorò di lui e dei modi gentili con cui la trattava, facendo anche da figura paterna alla bambina nata dal matrimonio della donna con un altro uomo.
In quel periodo fu considerato un eroe per aver salvato una bambina di tre anni che stava annegando nel lago di un parco.
Il 4 gennaio nel 1974 ci fu il primo tentato omicidio: la vittima si chiamava Joni Lenz e aveva 18 anni; fu picchiata sul suo letto con una spranga di legno e poi violentata, riuscì a salvarsi ma non senza riportare gravi lesioni.
Il giorno seguente i coinquilini di Joni, insospettiti dal fatto che la ragazza non si facesse sentire per ben ventiquattr'ore, entrarono nell'appartamento e la trovarono nella camera da letto, sanguinante e con profondi segni di violenza. Vennero colti dal terrore nel vedere che una delle aste dall'intelaiatura del letto era stata spezzata e usata per picchiarla e poi conficcata profondamente nella sua vagina.
Joni respirava ancora al momento del ritrovamento,  così le sue coinquiline chiamarono i soccorsi e la polizia, ma quando arrivarono sul posto la ragazza era già entrata in coma per le forti lesioni subite. Quando si riprese non ricordava nulla dell'accaduto e solo in seguito si scoprì che Ted Bundy era riuscito a entrare e uscire dal suo appartamento grazie ad una finestra lasciata aperta.
Un mese dopo scomparve Lynda Ann Healy, rapita dalla sua abitazione, e dopo di lei ne scomparvero altre cinque.
Il 17 giugno del 1974 venne ritrovato il corpo di Brenda Carol Ball e due mesi dopo furono ritrovati i resti di due ragazze scomparse il 14 luglio dal lago Shammanish, Janice Ott e Denise Naslund. Janice era stata vista viva per l'ultima volta da una coppia che faceva picnic sula riva del lago; avevano visto la ragazza parlare con un giovane uomo attraente e avevano sentito che quest'ultimo si era presentato col nome "Ted " e portava un'ingessatura al braccio. Le aveva chiesto aiuto per caricare la sua barca sul tetto del suo maggiolino Volkswagen e non riusciva a farlo da solo per via del suo braccio, che si era rotto giocando a tennis.
Su questa vicenda spuntò fuori una testimone, una ragazza di nome Janice Graham, che raccontò alla polizia di come fosse stata adescata da un giovane ragazzo di nome Ted che andava in giro con un braccio ingessato e che le aveva chiesto aiuto per caricare la barca, però arrivata sul posto dove era parcheggiata l'auto si rese conto che non c'era nessuna barca. Nutrendo qualche sospetto, si era rifiutata di seguirlo fino alla casa dei suoi genitori sulla collina, dove Ted sosteneva che si trovasse la barca, e più tardi lo aveva visto in compagnia di un'altra ragazza.
Grazie a queste testimonianze fu possibile fare un identikit di Ted, che apparve su tutti i giornali. Da quel momento diverse persone cominciarono a fare il nome di Ted Bundy, tra queste ritroviamo Ann Rule e Meg Anders, ma prima che la polizia potesse arrivare a lui, l'uomo lasciò Seattle e si trasferì nello Utah.
Nei mesi successivi del 1974 altre cinque ragazze scomparvero, sempre in circostanze misteriose, tra gli Stati dello Utah,Oregon e Washington. Ma la polizia insieme agli investigatori pensavano che dietro a questi crimini ci fosse la mano di un altro assassino.
Il 17 giugno del 1974 fu trovato in un parco il corpo privo di vita della giovanissima Brenda Baker, ma la sua causa della sua morte non poté essere stabilita a causa dell'avanzato stato di decomposizione.
Il 18 ottobre 1974 scomparve la diciottenne Melissa Smith mentre tornava da una festa a Midvale, nello Utah. Fu ritrovata il 27 dello stesso mese, vicino a Salt Lake City, mutilata, sodomizzata e strangolata con le sue stesse calze. Dentro la sua vagina c'erano dei rametti e della sporcizia varia, ma la cosa più strana era che l'assassino prima di sbarazzarsi del suo cadavere l'aveva truccata.
Il 31 ottobre a Lehi, sempre nello Stato dello Utah, scomparve la diciassettenne  Laura Aime, che fu ritrovata priva di vita quattro giorni dopo, il giorno del Ringraziamento, da un'escursionista. Anche lei fu picchiata, 
sodomizzata e strangolata.

            
Alcune delle vittime accertate di Ted Bundy   


Il primo passo falso di Bundy fu l'8 novembre del 1974, quando tentò di rapire Carol Da Ronch vicino a un centro commerciale a Murray, sempre nello Utah, fingendosi un agente di polizia e dicendole che la sua auto era stata rubata. La ragazza salì sul suo maggiolino pensando che Bundy la stesse portando in una stazione di polizia per fare la denuncia del furto, ma Bundy fermò l'auto quando furono lontani dai centri abitati, le ammanettò un polso e le puntò contro la pistola, ma prima che riuscisse ad ammanettarle anche l'altro polso lei riuscì a ribellarsi e a fuggire. Mentre scappava trovò un motociclista che le diede un passaggio e la portò alla prima stazione di polizia.
Carol alla polizia fece una descrizione dell'uomo e della sua auto e fu qui che gli investigatori notarono una forte somiglianza con l'omicidio avvenuto a Washington, ma non trovarono nessuna impronta sulle manette che potesse confermare la loro ipotesi e la goccia di sangue, appartenente all'aggressore, che Carol aveva sul collo non fu sufficiente  per il test del dna.
Dopo poche ore dalla fuga di Carol scomparve Debbie Kent dalla Viewmont High School di Bountiful dello Utah. La ragazza era uscita prima dalla lezione di recitazione per andare a prendere suo fratello, ma la sua auto non lascio mai il parcheggio della scuola. Il suo corpo non venne mai ritrovato e di lei si perse ogni traccia. Tempo dopo emerse la testimonianza di Raelynn Shepard, l'insegnante di Debbie, che disse di aver visto un uomo avvicinarla con la scusa di farle credere che fosse successo qualcosa alla sua auto, lo stesso metodo che Bundy aveva usato con Carol.
Bundy si spostò nel Colorado, dove scomparvero altre quattro donne tra il gennaio e l'aprile del 1975. Una di loro fu trovata morta con segni evidenti di violenza sul suo corpo.
A Washington l'investigatore Bob Keppel, che si occupava del caso del  "killer delle studentesse", fece perquisire il maggior luogo di scarico di rifiuti dello Stato chiamato "l'area di Taylor Mountains". Durante la perquisizione del luogo furono trovati teschi rotti appartenenti a quattro ragazze diverse; uno di questi era di una ragazza scomparsa dell'Oregon.
Il 16 agosto del 1975, nello Utah, il poliziotto Bob Haywood, fratello del detective Pete Haywood di Salt Lake City coinvolto nelle indagini degli omicidi di Bundy,  vide un maggiolino che correva veloce ignorando la segnaletica stradale e "bruciando" i semafori rossi, lo seguì, chiese al conducente di accostarsi, gli chiese i documenti e notò che mancava il sedile del passeggero. Il conducente era Ted Bundy e il veicolo era il suo maggiolino. L'auto venne perquisita e vennero trovati una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e un paio di manette. Bundy venne subito arrestato, successivamente il maggiolino fu controllato in maniera più approfondita; furono trovati e identificati i capelli di alcune ragazze, fu interrogata anche Meg Anders che per sei anni aveva frequentato Bundy, la quale raccontò agli investigatori delle cose interessanti sulle abitudini notturne del suo ex ragazzo, sulle sue stranezze in merito alle sue abitudini sessuali e sul possesso di grucce, stucco per ingessatura ospedaliera e baffi finti.
Dopo l'arresto di Bundy, gli investigatori di Salt Lake lo collegarono all'aggressione di Carol De Ronch che, osservando una foto del suo presunto aggressore mostratale dagli investigatori, non riusci a identificarlo perché all'epoca dei fatti aveva utilizzato un travestimento. L'insegnate Raelynn Shepard, invece, lo riconobbe subito come colui che rapì Debbie, fatto questo che permise l'arresto dell'uomo e posto sotto stretta sorveglianza in attesa di una prova definitiva. Sulla base dell'intero quadro indiziario, Bundy venne condannato per l'aggressione a  Carol De Ronch.
Licenziati i sui avvocati, decise di difendersi da solo e per tale motivo gli fu concesso l'accesso alla biblioteca del carcere, ma durante le sue ore di permesso Bundy riuscì a fuggire saltando da una finestra, appena in tempo per essere incolpato dall'FBI per i delitti in Colorado. 
Nono stante la sua fuga rocambolesca, Bundy venne preso sei giorni più tardi, ma incredibilmente riuscì a evadere di nuovo il 30 dicembre del 1977 e a raggiungere la Florida, dove prese in affitto un appartamento vicino a un campus universitario e cambiò il suo nome in Chris Hagen.
Il 14 gennaio del 1978 entrò nella sede di un gruppo di studentesse universitarie della Chi-Omega, dove uccise due ragazze mentre stavano dormendo, Lisa Levy e Margaret Bowman di venti e ventun anni. Anche queste ultime furono picchiate, strangolate e trovate senza vita nei loro letti. A una di loro erano state infilate due bombolette spray nella vagina e nell'ano. Oltre alle due giovani vittime Bundy era riuscito a ferirne altre due, Kathy Kleiner DeShields e Karen Chandler, che riportarono solo qualche frattura alla testa e qualche dente rotto. La stessa notte Bundy picchiò selvaggiamente, procurandole varie fratture al cranio in cinque punti diversi, Cheryl Thomas, che sopravvisse.
Il 9 febbraio del 1978 i genitori della dodicenne Kimberly Leach di Lake City in Florida ne denunciarono la scomparsa subito dopo l'uscita da scuola. L'ultima volta era stata vista da un testimone dirigersi in compagnia di un uomo verso un furgone bianco. Il suo corpo venne trovato il 12 aprile, ma la causa della morte non si poté accertare a causa dell'avanzato stato di decomposizione del cadavere, che in alcuni punti risultava addirittura era anche parzialmente mummificato.
Dopo questo omicidio, Bundy abbandonò il furgone in un quartiere malfamato e rubò un altro furgone, occasione nel quale fu fermato dalla polizia per un controllo, ma mentre l'agente controllava i documenti approfittò della distrazione di quest'ultimo per fuggire e far perdere le sue tracce.
Tornò nel suo appartamento a Tallahassee lo ripulì da tutte le sue tracce e si diresse a Pensacola, in Florida, dove rubò un'altra auto la cui targa venne riconosciuta da un agente, che lo fermò e lo arrestò dopo una piccola colluttazione. Tra il 1979 e il 1980 in Florida si tenne il processo seguito con molta attenzione dai mass media di tutto il mondo; Bundy le provò tutte, arrivando persino a chiedere che il giudice e il suo team fossero sostituiti, richiesta che ovviamente venne rifiutata.
Al processo, la difesa fece testimoniare anche Louise Bundy, la madre di Ted,  le cui parole fecero commuovere il figlio. Sempre durante il processo fu portata all'attenzione della giuria una prova schiacciante: le sue impronte dentali sulle vittime. Bundy nel tentativo di rallentare il processo prima della sentenza si appellò a una legge delle Florida per cui qualunque dichiarazione di matrimonio davanti alla presenza di ufficiali di corte era ritenuta valida e legalmente vincolante, quindi propose alla sua attuale ragazza Carol Ann Bonne, sua ex compagna di università,di sposarlo. Lei accettò subito, divenendo così sua moglie.
Poche ore dopo, nonostante tutti gli sforzi di Bundy, arrivò la sua sentenza di morte:  la corte lo ritenne colpevole di 36 omicidi, anche se lui aveva affermato sino al giorno della sua esecuzione di averne compiuti in realtà 26.
Il giudice Edward Cowart per la sentenza disse le seguenti parole:
"E' stabilito che siate messo a morte per mezzo della corrente elettrica, che tale corrente sia passata attraverso il vostro corpo fino alla morte. Prendetevi cura di voi stesso, giovane uomo.Ve lo dico sinceramente: prendetevi cura di voi stesso. E' una tragedia per questa corte vedere una tale totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Siete un giovane brillante, avreste potuto essere un buon avvocato e avrei voluto vedervi in azione davanti a me, ma voi siete vi siete presentato dalla parte sbagliata. Prendetevi cura di voi stesso, non ho nessun malanimo contro di voi, voglio che lo sappiate, prendetevi cura di voi stesso".
Durante le visite coniugali, sua moglie Carol Ann Bonne rimase incinta e nell'ottobre del 1982 nacque la figlia di Bundy; dopo la sua nascita, Carol non ebbe più rapporti con lui.
Alle 7:06 del 24 gennaio del 1989 Theodore Robert Bundy fu giustiziato sulla sedia elettrica con una scarica di 2.000 Volt per un minuto, fu dichiarato morto alle 7:16 del mattino. Fuori dal carcere si era radunata una folla con striscioni che urlava a favore dell'esecuzione.
L'ultima volontà di Ted fu di essere cremato e che le sue ceneri fossero sparse sulle Taylor Mountains nello stato di Washington.

                           
                                                       
                                                         Tratto dal libro di Elizabeth Kendall(nome d'arte)

Ted Bundy-fascino criminale, uscito nelle sale il  9 maggio 2019, diretto da Joe Berlinger con Zac Efron e Lily Collins: il film racconta la sua storia dal punto di vista della sua fidanzata. 

Trama del film: 
Elizabeth Kloepfer, con il volto segnato e qualche capello bianco, si reca in carcere per un incontro chiaramente cruciale con Ted Bundy, il serial killer con cui ha vissuto una storia d'amore. Si torna quindi indietro nel tempo alla sua giovinezza, negli anni 70, quando la loro relazione è iniziata come tante in un bar, vicino a un juke box. Il fascino di Ted è evidente, ma Elizabeth inizia a sentire che c'è qualcosa di strano nel suo comportamento.

Altri film tratti sulla vita di Ted Bundy:
Ted Bundy (uscito nel 2002), di Matthew Bright; Bundy: An American Icon (uscito nel 2008), di Michael Feifer; The Deliberate Stranger (uscito nel 1986), di Marvin J. Chomsky. Oltre a questi film sono stati prodotti svariati documentari disponibili su Netflix e Amazon Prime.


02 marzo 2025

Keith Hunter Jesperson: "The Happy Face Killer", lo strangolatore

 





Keith Hunter Jesperson è un serial killer che nei primi anni '90 uccise almeno otto donne, molte delle quali prostitute e senzatetto. Da piccolo amava catturare e uccidere animali randagi, cani, gatti, uccellini, strangolandoli fino alla morte. Questa tecnica la utilizzò anche per uccidere le sue vittime e il fatto che poi sui loro corpi e sulle lettere che inviava ai media e alle autorità per prendersi gioco di loro disegnasse delle faccine sorridenti gli valse il soprannome di Happy Face Killer.

Jesperson nacque il 6 aprile del 1955 a Chilliwack, in Canada, terzo figlio di cinque, tra fratelli e sorelle. Il padre era un tipo violento, era solito punirlo con cinghiate e scosse elettriche ogni volta che si trovava dei guai e Keith, seppur timido, nei guai ci si trovava spesso, sia a scuola che in casa, tra la sua irrefrenabile voglia di uccidere animali e le liti in cui rimaneva coinvolto nelle varie scuole che frequentava, per seguire i vari spostamenti del padre per via del suo lavoro.

Diplomatosi al liceo nel 1973, non frequentò il college perchè il padre era contrario, ma trovò lavoro come camionista, anche per mantenere la moglie Rose (sposata nel 1975) e i suoi tre figli, un maschio e due femmine. Il rapporto non durò molto, quando la moglie scoprì i tradimenti del marito chiese il divorzio e andò a vivere, con i figli, dai suoi genitori; era il 1990.

All'età di 35 anni era alto più di due metri e pesava oltre i centodieci chili, fu allora che comprese che avrebbe potuto uccidere una persona con relativa facilità, grazie alla sua superiorità fisica. La sua prima vittima fu Taunja Bennett, conosciuta in un bar di Portland. La portò a casa sua, la strangolò e occultò il cadavere. Per sua fortuna, Laverne Pavlinac, una donna in cerca di una scusa per porre fine alla relazione tossica che aveva con il fidanzato, si prese la responsabilità dell'omicidio, incolpando il fidanzato per averla costretta a compiere un tale gesto, Furono entrambi arrestati e processati.

Nel 1992 Jesperson tornò alla carica, questa volta in California, strangolando fino alla morte una giovane donna di Santa Nella il cui nome, a sua detta, era "Carla" o "Cindy". Nel 1994 fu la volta di Susanne, uccisa a Crestview, in Florida, stesse modalità.

Nonostante gli omicidi, solo nel 1995 la polizia iniziò a concentrare le attenzioni su di lui e dopo l'ennesimo omicidio riuscirono a incastrarlo e arrestarlo. La vittima era Julie Winningham, ma Jesperson cominciò a confessare non solo gli altri omicidi per cui altri si erano addossati la colpa o per i quali non era ancora stato trovato un colpevole, ma arrivò a dichiarare che le vittime fossero addirittura 185. Tale dichiarazione fu sottostimata dalla polizia, che ritenne ben più veritiero un totale di 8 vittime per mano di Happy Face Killer.

Condannato a tre ergastoli, nel 2010 fu incriminato per un altro omicidio, aggiungendo un quarto ergastolo alla sua pena, che sta scontando nel penitenziario di Riverside, in California.

Nel 2008 la figlia di Keith Hunter Jesperson, Melissa G. Moore, pubblicò un libro sul padre e su ciò che aveva vissuto con lui quando lei era alle elementari. Nei giorni che passavano in casa insieme, lo vedeva catturare, torturare e uccidere gattini e piccoli roditori, realizzando quanto stesse prendendo piede sempre più prepotentemente il lato sadico dell'uomo, ma non riuscendo ancora a concepire, essendo una bambina, fin dove si sarebbe spinto.

Nel 2014 è uscito un film su Happy Face Killer interpretato dal bravissimo attore David Arquette e diretto da Rick Bota.

      




23 febbraio 2025

The Monkey: il film basato sul racconto di Stephen king

 






Il 20 marzo vedrà il suo debutto nelle sale cinematografiche italiane il film The Monkey (Negli Stati Uniti il film è uscito il 21 febbraio), basato sul racconto del sempre più prolifico Stephen King.
Il racconto, uscito nel 1985 nella raccolta di racconti Scheletri, parla del ritrovamento, da parte di un ragazzo, di una scimmietta giocattolo che, una volta azionata, provoca la morte di una persona a lui cara. Sbarazzatosi del malefico giocattolo, si ritroverà suo malgrado faccia a faccia con esso in età adulta.

Il film ne segue a grandi linee la trama, pur con delle variazioni che anche a chi ha già letto la storia non saprà di "già vista" più del necessario. Ruoterà infatti intorno ai gemelli Hal e Bill che, frugando nella cantina del padre trovano la scimmietta che una volta azionata, beh, già sapete, no?

Alla regia abbiamo Oz Perkins, figlio di Anthony Perkins, l'attore del film Psycho, che oltre ad aver partecipato come attore nel seguito del film interpretato dal padre, come regista ha comunque un bagaglio piuttosto esiguo, dato che ha diretto solo cinque film, l'ultimo dei quali (escluso The Monkey) è il controverso ma efficace Longlegs del 2024, con un formidabile Nicholas Cage nei panni del cattivo di turno.

Sebbene una trama del genere difficilmente potrà portare qualcosa di totalmente nuovo per quanto riguarda la sceneggiatura o eventuali colpi di scena, sicuramente un qualcosa ispirato a uno dei racconti del re dell'orrore non passa inosservato. Negli Stati Uniti l'accoglienza è stata un "ni", ma chissà che in Italia non possa incontrare terreno più fertile in quanto a incassi e spettatori amanti del genere.

Voi lo andrete a vedere?



17 settembre 2024

Il caso dei fratelli Menendez.








Lyle ed Erik Menéndez, i figli del ricco dirigente dell'intrattenimento di Beverly Hills José Menéndez, scioccarono la nazione nel 1989 quando uccisero brutalmente i genitori nella loro casa. La loro storia divenne un caso mediatico e catturò l'attenzione del pubblico come poche altre volte nella storia del crimine. 
Dietro il brutale omicidio, infatti, si nascondeva una storia di abusi subiti fin dalla giovanissima età e ne conseguì una complessa battaglia legale che avrebbe messo a dura prova le regole e i meccanismi dell'intero sistema giudiziario americano.

I fratelli, cresciuti in un mondo pieno di privilegi e di ricchezza, erano vittime di un padre severo, violento e irrispettoso, che non solo non si tratteneva dal punirli e minacciarli alla minima occasione, ma lo faceva persino in presenza di ospiti ed estranei.
L'atteggiamento aggressivo del padre, però, non si limitava alle semplici punizioni corporali. L'uomo  dedicava attenzioni fin troppo particolari ai suoi figli, cominciando dal più grande, Lyle, costringendolo a toccarsi a vicenda e a farsi masturbare, penetrandolo con oggetti vari. Quando Lyle, stanco dei continui abusi, manifestò al padre la volontà di non voler più ricevere tali "attenzioni", questi gli promise che non lo avrebbe più fatto, spostando di conseguenza il tiro sul figlio più piccolo, Erik, facendone il suo oggetto sessuale. 
Se già il fatto di un padre che abusa dei propri figli è qualcosa di mostruoso, orribile e contronatura, a rendere il tutto più amaro ci pensava la madre, che era ben consapevole di quanto stesse accadendo in casa ma, succube anche lei del marito, faceva finta di nulla, rifugiandosi nell'alcool e negli antidepressivi. 
Questa situazione, sostenevano, era culminata in un atto disperato di autoconservazione, spingendoli a uccidere i loro genitori in un impeto di rabbia, paura e disperazione.

La sera del 20 agosto 1989, Erik e Lyle Menéndez entrarono nella loro casa di Beverly Hills armati di fucile. Spararono per sei volte al padre, una delle quali, quella sulla nuca, gli fu fatale. Alla madre invece spararono per ben dieci volte, l'ultima delle quali al viso. Accertatisi che entrambi fossero morti, chiamarono la polizia e raccontarono di aver trovato i genitori privi di vita al rientro dal cinema.

Nessuno li avrebbe mai collegati all'omicidio, se non che a insospettire gli investigatori fu lo stile di vita esagerato che i due fratelli, fin da qualche giorno dopo la morte dei genitori, avevano iniziato a sfoggiare, sperperando l'eredità che si erano ritrovati a dividersi da un giorno all'altro.

Come se non bastasse Erik, in cura dal dottor Jerome Oziel, uno psicologo, confessò il terribile crimine commesso in coppia con Lyle, quasi senza rendersene conto, forse per togliersi quel peso che stava diventando, con il passare del tempo, un macigno troppo pesante da sopportare. Questi a sua volta si confidò con la sua amante, Judalon Smyth, che disse tutto alla polizia dopo aver litigato per colpa del fatto che Oziel non voleva lasciare la moglie.

In fase processuale, la squadra di difesa dei fratelli, guidata dal formidabile avvocato Leslie Abramson, dipinse un quadro vivido dei loro tormenti infantili, sostenendo che le azioni dei fratelli non erano state il risultato di calcoli a sangue freddo ma di un disperato tentativo, per l'appunto, di sfuggire agli implacabili abusi inflitti dal padre. Presentavano prove di cicatrici fisiche, traumi emotivi e una storia di trattamenti psichiatrici, tutti presumibilmente derivanti dal comportamento crudele di José.

Tuttavia, l’accusa ribatté con una narrazione diversa, quella dell’avidità e dell’avarizia. Dipinsero i fratelli come giovani viziati e autoindulgenti che, spinti dal desiderio per l'enorme fortuna dei genitori, avevano meticolosamente pianificato gli omicidi. Addussero a difficoltà finanziarie, abitudini di spesa stravaganti e una storia di conflitti con i genitori come prova di un motivo che andava oltre l’autodifesa.

Il processo divenne uno spettacolo, attirando un circo mediatico e calamitando l'attenzione pubblica verso la scoperta di una verità che, strano ma vero, poteva avere una doppia valenza ed essere interpretata su più fronti. Ogni aspetto del caso fu sezionato e analizzato, dal comportamento e dalle personalità dei fratelli ai raccapriccianti dettagli della scena del crimine. L’aula del tribunale divenne un palcoscenico per la messa in onda di segreti familiari profondamente radicati, smascherando le dinamiche tossiche che avevano infestato la famiglia Menéndez.

Alla fine, la giuria si schierò dalla parte dell'accusa, ritenendo i fratelli colpevoli di omicidio di primo grado. Lyle ed Erik furono entrambi condannati all'ergastolo senza possibilità di libertà condizionale e incarcerati in strutture separate e lontano dagli altri detenuti. Questo fino al 2018, quando furono entrambi spostati alla Richard J. Donovan Correctional Facility, lasciandoli comunque in unità separate. Il verdetto fu accolto sia con indignazione che con sollievo, lasciando il pubblico diviso sulla validità delle accuse di abuso e sulle motivazioni dei fratelli.

Nel corso degli anni, il caso dei fratelli Menéndez ha continuato ad affascinare e a provocare dibattiti. La loro storia è stata oggetto di numerosi libri, film e programmi televisivi, ognuno dei quali offre la propria prospettiva sugli eventi e le motivazioni dietro gli omicidi. La loro eredità serve a ricordare la complessità del comportamento umano, il potenziale distruttivo dell’abuso e il potere duraturo della narrazione di affascinare e sfidare la nostra comprensione del mondo che ci circonda.

Dal 19 settembre, su Netflix, è uscita la serie composta da nove episodi Monsters - La storia di Lyle ed Erik Menéndez, che è a tutti gli effetti la seconda stagione di una antologia iniziata con Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer.


11 luglio 2024

Addio a Shelley Duvall: Ricordo della stella di Shining e di Hollywood

 





Oggi è venuta a mancare l'attrice Shelley Duvall all'età di 75 anni, morta nel sonno in seguito a complicazioni dovute al diabete, di cui soffriva da tempo.

Nonostante la sua immagine non fosse legata esclusivamente al mondo dell'horror, non potevamo non omaggiarla ricordando la sua splendida interpretazione in Shining, il film di Stanley Kubrick tratto dall'omonimo romanzo di Stephen King.

La sua partecipazione come coprotagonista in Shining, in cui interpretava Wendy, la moglie di Jack Torrance (interpretato da un altrettanto magistrale Jack Nicholson) merita una menzione particolare, poiché le riprese furono per lei stressanti ogni oltre immaginazione, ritrovandosi vessata e ricoperta di insulti da Kubrick, che voleva a tutti i costi far emergere quel lato fragile tratteggiato dal personaggio e finendo inevitabilmente per incrinare la fragilità della donna e attrice, che anche a distanza di parecchi anni ricordava quei momenti come un incubo a occhi aperti. 




Sebbene la performance finale fu strepitosa e, a oggi, irripetibile, è innegabile che si debba allo stesso Kubrick il merito di tale successo, capace di trasformare il personaggio letterario di Wendy, una cheerleader bionda ed esuberante, in una donna schiava del marito violento e opprimente.

Quando attrice e personaggio si fondono insieme in un'unica persona e rimangono indelebili nell'immaginario collettivo, ecco che assistiamo a qualcosa di unico, a una prova attoriale che ben pochi possono vantare nella loro carriera. Shelley Duvall è riuscita a fare anche questo, a passare dalla Olivia di Braccio di Ferro (dimenticabilissima trasposizione cinematografica del forzuto marinaio interpretato dal compianto Robin Williams) alla Wendy di Shining, percorrendo una carriera mai interrottasi veramente, seppur riducendosi a sporadiche comparsate, l'ultima delle quali in The Forest Hills, del 2023, a causa delle sue precarie condizioni di salute.

A dare la notizia della scomparsa della donna è stato Dan Gilroy, l'uomo con cui stava insieme dal 1989, con le seguenti parole:

"La mia cara e dolce compagna di vita e amica ci ha lasciati, Dopo tante sofferenze, ora è libera. Vola via, bellissima Shelley".